Fiori selvatici

Written in Italian by Alberto Nessi

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Un pomeriggio di novembre un uomo con spalle un po’ curve e una piccola radura fra i capelli prende dagli scaffali della biblioteca di casa un libro voluminoso. Sulla copertina la riproduzione di La morte e il fuoco di Paul Klee,1940: proprio l’anno della sua nascita, quando un taxista dagli occhi chiari aveva portato sua mamma alla Maternità a bordo di un taxi dagli occhi oscurati per via della guerra. Sul frontespizio: Ulisse. E, sotto, una dedica a inchiostro:”A te in viaggio con me nella vita, quest’Odissea, autunno 1973″.

L’uomo guarda bene: il libro si trova tra le Lettere a Felice di Franz Kafka e Congetture su Jakob di Uwe Johnson, questo non l’aveva mai letto; ma Lettere a Felice, che bell’epistolario d’amore! Anche se la parola “felice” lo riempie di inquietudine, come un mattino fosco di maggio. Si sente in colpa, l’uomo, per le misere lettere scritte alla compagna, nella quale si convogliavano tutti i desideri della giovinezza, prima di sposarla. E che odissea, poi, la sua ? Non è mai stato astuto come Ulisse, mai ha avuto sangue freddo. Quanto a avventure: qualche visita al postribolo oltrefrontiera, giornate di noia nell’ufficio sopra il salone Ricciolo d’oro, ricognizioni in periferia,vacanze a Rimini. L’impresa più ardita era stato un viaggio in Tunisia: nel deserto, con un foulard color sabbia annodato sulla fronte, a dorso di cammello – o era un dromedario? – a rimirare la palla infuocata del sole al tramonto, con un gruppo di turisti tedeschi. Poi, smarrito il foulard, la sera si era ritrovato tra gli avventurieri ad abbuffarsi al ristorante e a ballare il valzer. E le congetture? Ma la vita non è tutta una congettura?

 

L’uomo avrebbe voluto essere scrittore, come Martin Eden. Essere uno degli occhi attraverso cui il mondo guarda, una delle orecchie attraverso cui il mondo ascolta, uno dei cuori attraverso cui il mondo sente: non un giornalista che chiacchiera, ma una sirena che incanta. E adesso lì, con quel libro tra le mani, gli viene da pensare all’incantatrice della sua adolescenza: la ragazza del tirassegno.

Era una ragazza zoppa che aveva avuto un’infanzia torbida: figlia di una cameriera che amava il Campari e tradiva il marito con Clark Gable – lo incontrava nell’ appartamento sopra il ristorante dell’Angelo, mentre il marito sgorgava lavandini in giro per i paesi. Quella cameriera bellicosa aveva labbra a cuore accese di rosso e conservava nell’armadio il cappellino con penna di pavone e veletta messo il giorno del matrimonio. Sua figlia, dagli occhi azzurri come fiori selvatici, si era ridotta a fare la giostraia: ma perché le donne hanno occhi tanto ammalianti?

 

L’uomo con spalle un po’ curve scende dalla scala appoggiata alla biblioteca che si alza sulle scale. Rischia di perdere l’equilibrio, forse per il ricordo di quella ragazza che rivede ondeggiare sopra di lui nel carrozzone azzurro, guardata da attori del cinema incollati alle pareti: in quell’ondeggiare c’era una luce mai vista prima, il suo cuore in quel su e giù era come un sughero danzante, stelle brillavano nel firmamento della cupola incantata sopra i divi in bianco e nero. Fuori, una notte d’estate con un profumo di tigli che a lui pareva emanasse dal corpo della sirena, dalle sue piume verdazzurre. Là, dentro l’alcova, arrivavano la risata dell’ubriaco, un effluvio d’incenso e il suono di una cornetta, dalla sagra d’estate che festeggiava il Santo. C’era stata la banda del paese, ghirlande di lampadine gialle e rosse sopra il campo della festa e, sotto il portico del santuario, l’ovale in ceramica con la foto sbiadita del frate custode. Nelle scene della vita del santo affrescate alle pareti, in primo piano giaceva il disgraziato con un piede mozzo, in attesa del miracolo. Alla fine della sagra, rientrati i musicanti con clarinetti nelle custodie e ottoni sotto il braccio, ferme le giostre dei cavalli colorati, era rimasto solo il vomito dell’ubriaco e l’eco della cornetta che suonava La bianca luna sorgeva dietro i monti

 

L’uomo pensa agli anni di quand’era ragazzo e si alzava la mattina presto per andare a servir messa, a porgere le ampolline al prete. L’aria era fredda sul sagrato e lui, vestendo in sacrestia la cotta bianca, diventava un altro e credeva di vivere un’avventura. Ora a quella cotta si sovrappongono piume verdazzurre: ondeggia, la sirena, nel carrozzone, “siccome piace al mare una sirena”, quelle parole della canzone popolare, o è piuttosto, “siccome piace il mare a una sirena”? Anche questo è poesia: l’ambiguità, la congettura, la metamorfosi, la ragazza che diventa sirena e piace alle onde del mare, la sirena che è incantata dalle onde… Scrivere non è forse ascoltare una voce ondeggiante che inventa il mondo e può anche mettere a repentaglio la vita? Come quando l’uomo, da studente, aveva rischiato l’ espulsione dal collegio per aver scritto in un componimento il nome di Dio invano.

 

Ora improvvisamentre i pensieri vanno incontro al ragazzo con il basco: che anche lui scriveva poesie e, proprio nel grotto lì vicino al prato dove si era piazzato quel carrozzone da zingari, gli aveva cantato La mauvaise réputation di Brassens. Era poi andato a finir male, quel ragazzo, perché non aveva voglia di vivere; e l’avevano trovato penzolante nella casa dei fossili, in collina. Il giorno del funerale il prete gridò dal pulpito che aveva frequentato le cattive compagnie; e lui, che era stato suo amico, seduto sulle panche fredde della parrocchiale si sentì in colpa e odiò quel prete, lì, sotto l’affresco della donna in camicia che regge la croce svizzera in mezzo ai santi le madonne i cristi gli angeli gli arcangeli e i cherubini della santa chiesa cattolica apostolica romana, ad majorem Dei gloriam. L’amico aveva lasciato sul tavolo di cucina il quaderno delle poesie e poi si era appeso alla trave sotto il portico, vinto dalla solitudine: così l’avevano trovato. Il giorno prima era andato a sfilare nel corteo di Carnevale con un vestito da pagliaccio, un cono rosso in testa: ma la vita è una carnevalata tragicomica?

 

L’uomo dalle spalle un po’ curve rimette a posto la scala di legno appoggiandola agli scaffali, un po’ spaventato perché ha rischiato di cadere e di battere la testa sulla scala di sasso. I suoi pensieri stanno prendendo una brutta piega, saltano di palo in frasca. Ora vanno a quell’omone visto giorni fa in treno, con due cappelli in testa, parlare da solo. Un lungo delirio. Solo, anche lui, come il ragazzo del basco che non aveva voluto vivere, come la sirena. Lui, l’omone, era uno che non sapeva cosa fare e viaggiava tutto il giorno in treno su e giù da Zurigo per ammazzare il tempo. E un giorno due burloni gli avevano offerto un panino imbottito di sapone liquido, tanto per fare uno scherzo e stare un po’ allegri in compagnia, cosa vuoi, è poi solo un vagabondo, la vita non è una carnevalata?

 

Quando sognava di diventare scrittore l’uomo era convinto che si può dire tutto con le parole, basta pensarci su. E poi invece aveva capito che tutto è già rinchiuso nei libri allineati sugli scaffali di una biblioteca.Tutto, o quasi. Ecco, c’è questo quasi di mezzo, pensa. Ma che cos’è l’ arte, cos’è la poesia? Una cosa così importante da lasciarci la pelle, come aveva fatto il ragazzo del basco che negli occhi aveva un’ombra di malinconia? Cos’è, Dio mio, questa letteratura? Guardare fuori di sé o dentro di sé? Buttare l’ancora in mare o affondare una sonda dentro il proprio gorgo? Una composizione musicale, preludio toccata e fuga, oppure un discorso che un uomo, o una donna, fanno a un altro uomo o a un’altra donna? Le due cose insieme, ecco: musica più discorso. O è un sogno fatto alla presenza della ragione, come hanno detto? Forse è solo l’arte di mettere insieme momenti di vita, per non avere l’impressione di aver vissuto per niente. Un collage. Per esempio: la sirena del carrozzone può convivere con l’adolescente che giocava a calcio in quel campetto di periferia. Là, accanto, c’era stata la Manifattura Tabacchi dove tanti anni prima sua madre aveva arrotolato i Virginia; e, poco oltre, una discarica dove lui bambino aveva cercato i coperchietti degli orologi con su inciso un naviglio a vela.

Ma c’è un altro ragazzo, molto più bello di lui, che ricorda d’aver visto in collegio negli anni cinquanta, poco dopo aver scritto il nome di Dio invano. Gli era venuto incontro nella luce del crepuscolo, in quel corridoio invaso dall’odore delle polpette di risotto riscaldato servite da una donna dai capelli azzurrati. Quel ragazzo sì aveva vissuto un’odissea! Veniva dai carri armati, portava una maglia gialla come la puszta ungherese e fumava Parisiennes senza filtro.

 

Ora i pensieri dell’uomo curvo deflagrano e il carrozzone accanto al santuario si trasforma nello schermo sul quale scorrono fotogrammi della sua vita fallita. Fallita, sì, ma non del tutto; perché va bene letteratura e arte, ma sei sicuro che resti qualcosa di te? Invece, dell’amore vissuto o immaginato, resta sempre qualcosa. Per esempio il viso dell’attrice vista in Fronte del porto nel cinema all’aperto mentre lucciole zigzagavano sui pitosfori, nessuno può cancellare quel viso luminoso. Né quello della sirena. E quando, alla fine della notte, il fiume Lete fa il suo lavoro e porta via tutti la cameriera con la veletta Clark Gable il ragazzo triste con il basco il prete il ragazzo dalla maglia gialla l’omone dai due cappelli in testa e l’ubriaco che suona la bianca luna -, l’uomo resta solo con tutta la bellezza che ha attraversato, con le ondeggianti piume verdazzurre dell’adolescenza, con la sirena del tirassegno dagli occhi ammalianti come fiori selvatici.

Published June 20, 2022
© Alberto Nessi 2022

Flores silvestres

Written in Italian by Alberto Nessi


Translated into Spanish by Rocío Moriones Alonso

Una tarde de noviembre, un hombre algo cargado de hombros y con un pequeño claro en el cabello coge de la estantería de la biblioteca de su casa un libro voluminoso. En la cubierta tiene una reproducción de La muerte y el fuego, de Paul Klee, de 1940: precisamente el año de su nacimiento, cuando un taxista de ojos claros llevó a su madre a la maternidad del hospital en un taxi con los faros cubiertos a causa de la guerra. En la portada: Ulises. Y debajo, una dedicatoria escrita a tinta: “Para ti que viajas conmigo por la vida, esta Odisea, otoño de 1973”.

El hombre mira con atención: el libro se encuentra entre las Cartas a Felice, de Franz Kafka y Conjeturas sobre Jakob, de Uwe Johnson, éste último no lo había leído, pero Cartas a Felice, ¡qué epistolario de amor tan bonito! Aunque la palabra “felice” le llena de inquietud, como una mañana nublada de mayo. El hombre se siente culpable por las míseras cartas que había escrito a su compañera, en las que se canalizaban todos los deseos de la juventud, antes de casarse con ella. Y además, ¿cuál ha sido su odisea? Nunca ha sido tan astuto como Ulises, nunca ha tenido sangre fría. En cuanto a las aventuras: algunas visitas al prostíbulo transfronterizo, días tediosos en la oficina situada encima del salón Ricitos de Oro, incursiones por la periferia, vacaciones en Rímini. Su misión más temeraria había sido un viaje a Túnez: al desierto, con un pañuelo color arena anudado en la frente, a lomos de un camello  —¿o era un dromedario?—contemplando la esfera en llamas del sol al atardecer con un grupo de turistas alemanes. Más tarde, por la noche, perdido ya el pañuelo, volvió a encontrarse entre los aventureros para atiborrarse de comida en el restaurante y bailar vals.  Y, ¿las conjeturas? ¿Acaso la vida en sí no es una conjetura?

 

Al hombre le gustaría haber sido escritor, como Martin Eden. Ser como aquellos ojos a través de los cuales el mundo mira, aquellos oídos a través de los cuales el mundo oye, aquellos corazones a través de los cuales el mundo siente: no un periodista que parlotea, sino una sirena que hechiza. Y ahora ahí, con ese libro en las manos, comienza a pensar en la hechicera de su adolescencia: la chica del tiro al blanco.

Era una niña coja que había tenido una infancia turbia: hija de una camarera que adoraba el Campari y engañaba a su marido con Clark Gable —se encontraban en el piso encima del restaurante del Ángel—, mientras su marido se dedicaba a desatascar fregaderos por los pueblos. Aquella camarera belicosa tenía los labios en forma de corazón pintados de rojo, y conservaba en el armario el sombrero con una pluma de pavo real y velo que había llevado el día de su boda. Su hija, con ojos azules como flores silvestres, había terminado por trabajar en el tío vivo; pero, ¿por qué las mujeres tienen unos ojos tan embrujadores?

 

El hombre ligeramente cargado de hombros, desciende la escalera apoyada en la biblioteca que se alza sobre las escaleras. Casi pierde el equilibrio, quizás por el recuerdo de esa muchacha que vuelve a ver ondear sobre él en el carromato azul, observada por actores de cine pegados a las paredes: en ese ondear había una luz que nunca había visto antes, su corazón en aquel balanceo era como un corcho danzante, las estrellas brillaban en el firmamento de la cúpula encantada sobre los divos en blanco y negro. Afuera, una noche de verano con aroma a tilo que le parecía emanar del cuerpo de la sirena, de sus plumas verdiazuladas. Allí, en el interior de la alcoba, llegaban las risotadas del borracho, un olor a incienso y el sonido de una trompeta, de las fiestas de verano en honor al santo. Había tocado la banda del pueblo, guirnaldas de bombillas amarillas y rojas sobre el terreno del festejo y, bajo el pórtico del santuario, el óvalo de cerámica con la foto descolorida del fraile guardián. En las escenas de la vida del santo pintadas al fresco en las paredes, en primer plano yacía el desafortunado hombre con un pie cortado, esperando el milagro. Una vez acabada la fiesta, tras marcharse los músicos con los clarinetes en sus estuches y los instrumentos de metal bajo el brazo,  parado el tío vivo de caballitos de colores, sólo quedaban el vómito del borracho y el eco de la trompeta que tocaba La luna blanca salía detrás de las montañas

 

El hombre piensa en los años en que era un muchacho y se levantaba temprano por la mañana para ayudar en misa a pasarle las ampollas al sacerdote. En la entrada de la iglesia corría un aire frío, y él, al vestirse en la sacristía con la sobrepelliz blanca, se convertía en otra persona y pensaba que estaba viviendo una aventura. Ahora a esa sobrepelliz se superponen plumas verdiazuladas, ondea la sirena, en el carromato, “tal como le gusta al mar una sirena”, esas palabras de la canción popular, o más bien, “tal como le gusta el mar a la sirena”? Eso también es poesía:  la ambigüedad, la conjetura, la metamorfosis, la niña que se convierte en sirena y gusta a las olas del mar, la sirena a la que le encantan las olas… ¿No será escribir escuchar una voz ondulante que inventa el mundo y puede también poner en peligro la vida? Como cuando aquel hombre, siendo estudiante, se arriesgó a ser expulsado del internado por haber escrito en una redacción el nombre de Dios en vano.

 

Ahora, de repente, los pensamientos se dirigen al chico de la boina que también escribía poesía y, justo en la cueva cercana al prado donde se había situado aquel carromato de gitanos, le había cantado La mauvaise réputation, de Brassens. Después aquel chico terminó mal porque no tenía ganas de vivir; y se lo encontraron colgando en la casa de los fósiles, en la colina. El día del funeral el sacerdote gritó desde el púlpito que se había rodeado de malas compañías, y él, que había sido su amigo, sentado en los fríos bancos de la iglesia parroquial, se sintió culpable y odió a aquel cura, allí, bajo el fresco de la mujer con blusa que sostiene la cruz suiza en medio de los santos las vírgenes los cristos los ángeles los arcángeles y los querubines de la santa iglesia católica apostólica y romana, ad majorem Dei gloriam. El amigo había dejado en la mesa de la cocina su cuaderno de poemas y luego se había colgado de la viga bajo el porche, derrotado por la soledad: así se lo encontraron. El día anterior había desfilado en la procesión de Carnaval con un traje de payaso y un capirote rojo en la cabeza: ¿es que la vida es una carnavalada tragicómica?

 

El hombre ligeramente cargado de hombros vuelve a colocar la escalera de madera, apoyándola en las estanterías, un poco asustado porque casi se cae y se golpea la cabeza con la escalera de piedra. Sus pensamientos están tomando un feo cariz, saltan de aquí para allá. Ahora se dirigen a aquel tipo grandullón que vio hace unos días en el tren, que llevaba dos sombreros en la cabeza y hablaba solo. Un largo delirio. Solo, también él, como el chico de la boina que no quiso vivir, como la sirena. Él, el grandullón, era uno que no sabía qué hacer y viajaba todo el día en tren de un lado a otro desde Zúrich para pasar el tiempo. Y un día dos bromistas le ofrecieron un bocadillo relleno de jabón líquido, sólo para burlarse y divertirse un poco juntos, qué quieres, y además, no era más que un vagabundo,  ¿acaso la vida no es una carnavalada?

 

Cuando soñaba con ser escritor, aquel hombre estaba convencido de que se podía expresar cualquier cosa con palabras, sólo había que pensar un poco. Pero después comprendió que todo está ya dentro de los libros alineados en las estanterías de una biblioteca. Todo, o casi todo. Eso, está ese casi ahí en medio, piensa. Pero, ¿qué es el arte, qué es la poesía? ¿Algo tan importante como para dejarse la piel, como había hecho el chico de la boina que tenía una sombra de melancolía en los ojos? ¿Qué es, Dios mío, eso de la literatura? ¿Mirar fuera de uno mismo o dentro de sí mismo? ¿Lanzar el ancla al mar o sumergir una sonda en el propio remolino? ¿Una composición musical, preludio, tocata y fuga, o un discurso que un hombre o una mujer hacen a otro hombre u otra mujer? Sí, las dos cosas juntas: música más discurso. ¿O es un sueño hecho en presencia de la razón, como han dicho? Tal vez no sea más que el arte de juntar momentos de vida para no tener la impresión de haber vivido en vano. Un collage. Por ejemplo: la sirena del carromato puede convivir con el adolescente que jugaba al fútbol en aquel solar de las afueras. Allí, al lado, había estado la Fábrica de Tabaco donde, muchos años antes, su madre había enrollado los Virginia;  y, un poco más allá, un vertedero donde de niño había buscado tapas de relojes grabadas con un barco de vela.

Pero hay otro chico, mucho más guapo que él, al que recuerda haber visto en el internado en los años 50, poco después de escribir el nombre de Dios en vano. Lo vio acercarse a la luz del atardecer, en ese pasillo impregnado de olor a croquetas de arroz recalentado servidas por una mujer con el pelo azulado. ¡Ese chico sí que había vivido una odisea! Venía de los tanques, llevaba una camisa amarilla como la estepa húngara y fumaba Parisiennes sin filtro.

 

Ahora los pensamientos del hombre encorvado estallan y el carromato junto al santuario se transforma en la pantalla por la que discurren los fotogramas de su vida fracasada. Fracasada, sí, pero no del todo, porque la literatura y el arte están bien, pero, ¿estás seguro de que queda algo de ti? Sin embargo, del amor vivido o imaginado siempre queda algo. Por ejemplo, el rostro de la actriz que vio en La ley del silencio en el cine al aire libre, mientras las luciérnagas  revoloteaban sobre los pitosforos, nadie podrá borrar ese rostro luminoso. Ni el de la sirena. Y cuando, al final de la noche, el río Lete hace su trabajo y se lleva a todos —la camarera con el velo Clark Gable el muchacho triste de la boina el cura el chico de la camiseta amarilla el hombretón con los dos sombreros en la cabeza y el borracho que toca la luna blanca—, el hombre se queda a solas con toda la belleza que ha atravesado, con las ondeantes plumas verdiazules de la adolescencia, con la sirena del tiro al blanco de ojos embrujadores como flores silvestres.

Published June 20, 2022
© Alberto Nessi 2022
© Specimen 2022

Wilde Blumen

Written in Italian by Alberto Nessi


Translated into German by Maja Pflug

An einem Novembernachmittag nimmt ein Mann mit leicht gebeugten Schultern und einer kleinen Lichtung zwischen den Haaren ein dickes Buch aus den Regalen der häuslichen Bibliothek. Auf dem Umschlag eine Reproduktion von Tod und Feuer von Paul Klee, 1940: genau das Jahr seiner Geburt, als ein Taxifahrer mit hellen Augen seine Mutter in einem Taxi mit wegen des Krieges verdunkelten Augen zur Entbindungsklinik fuhr. Auf dem Frontispiz: Ulysses. Und darunter eine mit Tinte geschriebene Widmung: „Für Dich mit mir auf der Lebensreise, diese Odyssee, Herbst 1973.“

Der Mann schaut genau hin: Das Buch steht zwischen Briefe an Felice von Franz Kafka und Mutmaßungen über Jakob von Uwe Johnson, das hatte er nie gelesen: aber Briefe an Felice, welch schöne Liebeskorrespondenz! Auch wenn das Wort „felice“ – glücklich – ihn mit Unruhe erfüllt wie ein diesiger Maimorgen. Er hat Schuldgefühle, der Mann, weil er seiner Gefährtin, bevor er sie geheiratet hat, dürftig Briefe schrieb, in denen sich alle jugendlichen Begierden tummelten. Und was für eine Odyssee ist denn die seine? Er war nie so schlau wie Odysseus, war nie kaltblütig. Was die Abenteuer betrifft: einige Besuche im Bordell jenseits der Grenze, langweilige Tage im Büro über dem Frisiersalon Ricciolo d’oro, Streifzüge durch die Peripherie, Ferien in Rimini. Das kühnste Unternehmen war eine Reise nach Tunesien gewesen: durch die Wüste, mit einem sandfarbenen, über der Stirn geknoteten Kopftuch, um auf dem Rücken eines Kamels – oder war es ein Dromedar? – den glühenden Feuerball des Sonnenuntergangs zu bewundern, mit einer Gruppe deutscher Touristen. Dann ging das Kopftuch verloren, und später hatte er sich unter den Abenteurern im Restaurant befunden, die sich den Bauch vollschlugen und Walzer tanzten. Und die Mutmaßungen? Ist denn das Leben nicht eine einzige Mutmaßung?

 

Der Mann wäre gern Schriftsteller gewesen, wie Martin Eden. Eines der Augen sein, mit denen die Welt schaut, eines der Ohren, mit denen die Welt lauscht, eines der Herzen, mit denen die Welt fühlt: kein plappernder Journalist, sondern eine verführerische Sirene. Und jetzt, hier mit diesem Buch in der Hand, muss er an die Verführerin seiner Adoleszenz denken: das Mädchen von der Schießbude.

Das Mädchen hinkte und hatte eine trübe Kindheit gehabt: Tochter einer Kellnerin, die Campari liebte und ihren Mann mit Clark Gable betrog – den sie in der Wohnung über dem Ristorante dell‘Angelo traf, während ihr Mann auf den Dörfern der Gegend verstopfte Abflüsse reparierte. Diese kämpferische Kellnerin hatte leuchtend rote, herzförmige Lippen und bewahrte im Schrank das Schleierhütchen mit Pfauenfeder auf, das sie an ihrem Hochzeitstag getragen hatte. Ihre Tochter, Augen blau wie wilde Blumen, war schließlich Schaustellerin geworden: Warum haben Frauen solche Zauberaugen?

 

Der Mann mit den leicht gebeugten Schultern steigt von der Leiter herunter, die an der Bibliothek über der Treppe lehnt. Beinahe hätte er das Gleichgewicht verloren, vielleicht wegen der Erinnerung an dieses Mädchen, er sieht sie wieder vor sich, wie sie in dem Zirkuswagen über ihm wogt, unter den Blicken der Filmschauspieler, die an den Wänden klebten: In diesem Wogen war ein nie gesehenes Licht, sein Herz war in diesem Auf und Ab wie ein tanzender Korken, Sterne glänzten am Firmament der verzauberten Kuppel über den schwarzweißen Stars. Die Nacht draußen war voller Lindenduft, der, so schien ihm, vom Körper der Sirene ausging, von ihren grünblauen Federn. In den Alkoven drang das Lachen des Betrunkenen herein, eine Wolke von Weihrauch und der Klang eines Horns von der Sommerkirmes zur Feier des Heiligen. Die Dorfkapelle hatte gespielt, Girlanden von gelben und roten Lämpchen hingen über dem Festplatz, und unter dem Portikus der Wallfahrtskirche das Keramikoval mit dem verblichenen Foto des Mönchs, der hier Pförtner gewesen war. Auf den Fresken mit Szenen aus dem Leben des Heiligen lag im Vordergrund der Unglückliche mit seinem abgehackten Fuß und wartete auf das Wunder. Am Ende des Dorffests, als die Musikanten mit ihren Klarinetten im Futteral und den Blechblasinstrumenten unter dem Arm nach Hause gegangen waren, die Karussells mit den bunten Pferdchen stillstanden, war nur noch das Erbrochene des Betrunkenen und das Echo des Kornetts übrig, das Der weiße Mond stieg hinter den Bergen auf… spielte.

 

Der Mann denkt an die Jahre, als er ein Junge war und frühmorgens aufstand, um dem Pfarrer als Messdiener die Fläschchen zu reichen. Die Luft war kalt auf dem Kirchvorplatz, und wenn er in der Sakristei die weiße Kutte anzog, wurde er ein anderer und glaubte, ein Abenteuer zu erleben. Nun wird diese Kutte überlagert von grünblauen Federn: sie wogt im Zirkuswagen, die Sirene, „denn dem Meer gefällt eine Sirene“, so die Worte aus dem Volkslied, oder heißt es vielmehr „denn das Meer gefällt einer Sirene“? Auch das ist Poesie: die Vieldeutigkeit, die Mutmaßungen, die Metamorphose, das Mädchen, das zur Sirene wird und den Wogen des Meeres gefällt, die Sirene, die von den Wogen entzückt ist… Ist Schreiben nicht vielleicht, einer wogenden Stimme lauschen, die die Welt erfindet und auch lebensbedrohlich sein kann? Wie damals, als der Mann als Schüler in Gefahr gewesen war, aus dem Internat verwiesen zu werden, weil er in einem Aufsatz umsonst den Namen Gottes erwähnt hatte.

 

Und plötzlich wenden sich die Gedanken dem Jungen mit der Baskenmütze zu: Denn auch der schrieb Gedichte, und genau in dem Grotto dort in der Nähe der Wiese, wo der Zigeunerwagen gestanden war, hatte er ihm La mauvaise réputation von Georges Brassens vorgesungen. Der Junge hatte dann ein schlimmes Ende genommen, weil er nicht leben mochte; im Fossilienhaus baumelnd hatte man ihn gefunden, auf dem Hügel. Am Tag der Beerdigung schrie der Pfarrer von der Kanzel, der Junge habe sich in schlechter Gesellschaft bewegt; und er, der sein Freund gewesen war, saß auf der kalten Kirchenbank, fühlte sich schuldig und hasste diesen Pfarrer dort unter dem Fresko der Frau im Hemd, die das Schweizer Kreuz hochhält inmitten von Heiligen, Madonnen, Christussen, Engeln, Erzengeln und Cherubim der heiligen römisch-katholischen apostolischen Kirche, ad majorem Dei gloriam. In ein Heft hatte sein Freund geschrieben „Die Natur ist keine gute Mutter“, und dann hatte er sich an dem Rohr über der Kloschüssel erhängt, von der Einsamkeit besiegt: So hatten sie ihn gefunden. Am Tag davor war er als Clown verkleidet beim Faschingsumzug mitgegangen, mit einem roten Kegelhut auf dem Kopf: Ist das Leben ein tragikomischer Faschingsscherz?

 

Der Mann mit den leicht gebeugten Schultern stellt die Holzleiter wieder an ihren Platz neben den Regalen, ein wenig erschrocken, weil er in Gefahr gewesen war zu stürzen und sich an der Steintreppe den Kopf aufzuschlagen. Seine Gedanken nehmen eine hässliche Wendung, springen vom einen zum anderen. Jetzt fällt ihm der plumpe Mann ein, den er vor einigen Tagen im Zug gesehen hat, wie er mit zwei Hüten auf dem Kopf Selbstgespräche führte. Ein langes Delirium. Auch er einsam, wie der Junge mit der Baskenmütze, der nicht mehr leben wollte, wie die Sirene. Er, der plumpe Mann, war einer, der nicht wusste, was er tun sollte, und den ganzen Tag von Zürich hin und her fuhr, um die Zeit totzuschlagen. Und eines Tages hatten ihm zwei Witzbolde ein Brötchen angeboten, mit Flüssigseife gefüllt, nur so zum Spaß, um ein bisschen in lustiger Gesellschaft zu sein, was willst du, er ist doch bloß ein Landstreicher, ist das Leben nicht ein Faschingsscherz?

 

Als er davon träumte, Schriftsteller zu werden, war der Mann überzeugt, dass man alles mit Worten sagen kann, man muss nur lange genug nachdenken. Dann aber begriff er, dass die Bücher, die in den Regalen einer Bibliothek aufgereiht sind, schon alles enthalten. Fast alles. Genau, da ist dieses fast dazwischen, denkt er. Was ist denn Kunst, was ist Dichtung? Etwas so Wichtiges, dass man dafür sein Leben lässt, wie es der Junge mit der Baskenmütze getan hatte, der einen Schatten von Melancholie in den Augen hatte? Mein Gott, was ist denn diese Literatur? Aus sich heraus oder in sich hinein sehen? Im Meer vor Anker gehen oder eine Sonde in den eigenen Strudel versenken? Eine musikalische Komposition, Präludium, Toccata und Fuge, oder eine Rede, die ein Mann oder eine Frau an einen anderen Mann oder eine andere Frau richten? Beides zusammen, das ist es: Musik und Rede. Oder ist es ein in Anwesenheit der Vernunft geträumter Traum, wie gesagt wurde? Vielleicht ist es nur die Kunst, Momente des Lebens zusammenzufügen, damit man nicht den Eindruck hat, umsonst gelebt zu haben. Eine Collage. Zum Beispiel: Die Sirene des Zirkuswagens kann mit dem Jugendlichen zusammenleben, der auf diesem kleinen Platz am Stadtrand Fußball spielt. Ganz in der Nähe war die Tabakmanufaktur gewesen, wo seine Mutter viele Jahre zuvor Virginia-Zigarren gerollt hatte; und wenig weiter eine Müllhalde, wo er als Kind die Uhrendeckel gesucht hatte, auf denen ein Segelboot eingraviert war.

Doch da ist noch ein anderer Junge, viel hübscher als er, den er, so erinnert er sich, in den fünfziger Jahren im Internat getroffen hat, kurz nachdem er den Namen Gottes umsonst erwähnt hatte. Im Dämmerlicht war er ihm entgegengekommen in dem Flur, wo es überall nach frittierten Bällchen aus aufgewärmtem Risotto roch, serviert von einer Frau mit bläulich schimmernden Haaren. Dieser Junge hatte eine Odyssee hinter sich! Er kam von den Panzern, trug einen Pullover, gelb wie die ungarische Puszta, und rauchte Parisiennes ohne Filter.

 

Nun explodieren die Gedanken des gebeugten Mannes, und der Zirkuswagen neben der Wallfahrtskapelle verwandelt sich in einen Bildschirm, über den die Fotogramme seines gescheiterten Lebens flimmern. Gescheitert, ja, aber nicht ganz; Literatur und Kunst, na gut, aber bist du sicher, dass etwas von dir bleibt? Doch von der gelebten oder imaginären Liebe bleibt immer etwas. Zum Beispiel das Gesicht der Schauspielerin, die du in Die Faust im Nacken im Freiluftkino gesehen hast, während die Glühwürmchen im Zickzack über die Klebsamen flatterten, niemand kann dieses strahlende Gesicht auslöschen. Ebenso wenig das der Sirene. Und tut der Fluss Lethe am Ende der Nacht seine Arbeit und trägt sie alle fort – die Kellnerin mit dem Schleierhut Clark Gable den traurigen Jungen mit Baskenmütze den Pfarrer den Jungen im gelben Pullover den plumpen Mann mit zwei Hüten auf dem Kopf und den Betrunkenen, der das Lied vom weißen Mond spielt -, bleibt der Mann allein zurück mit all der Schönheit, die er durchquert hat, mit den wogenden grünblauen Federn der Adoleszenz, mit der Sirene von der Schießbude mit den Zauberaugen, leuchtend wie wilde Blumen.

Published June 20, 2022
© Alberto Nessi 2022
© Maja Pflug 2022


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