Il piacere del turpiloquio

Written in Italian by Silvia Pareschi

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[…] Un caso in cui il code-mixing può dare esiti divertenti, per chi legge come per chi traduce, è quello del turpiloquio. A questo punto devo fare una confessione: sono una grande estimatrice delle parolacce. Mi piace dirle (d’altronde esistono diversi studi che sostengono la funzione salutare del turpiloquio, nonché addirittura la superiorità intellettiva di chi lo usa), mi piace studiarne l’etimologia, mi piace soprattutto tradurle, perché sono un bell’esercizio di creatività linguistica; per questo nei miei laboratori di traduzione cerco sempre di assegnare almeno un brano di lingua “sporca”. Quando si comincia a tradurre, infatti, si tende spesso ad avvicinarsi al testo fonte con un eccessivo timore reverenziale, con la conseguenza di alzare erroneamente il registro dell’originale: quante espressioni barboge, come le chiamava il filologo Enrico Bianchi, si trovano nelle cattive traduzioni, quanti “volto” al posto di “faccia”, quanti “recarsi” al posto di “andare”! Esercitarsi a tradurre le parolacce aiuta a sciogliere i muscoli della lingua, ad acquisire agilità e sicurezza nell’uso del registro. L’insulto e l’imprecazione hanno una funzione espressiva importante, e chi traduce deve essere in grado di calibrarne la potenza (non posso tradurre il buffo holy cow – letteralmente “santa mucca” – con un pesante “porca puttana”), di renderne il colore (proprio perché holy cow è buffo e ironicamente antiquato, sceglierò di tradurlo con “perbacco”, o magari persino con “santa polenta”), di sincronizzarli all’epoca in cui è stato scritto il testo, ma anche, con sfumature che variano a seconda dei casi, all’epoca in cui il testo viene tradotto (se la patina démodé di “perbacco” e “santa polenta” risultasse eccessiva o comunque scentrata, una buona soluzione potrebbe essere un più atemporale “santo cielo”).
Torniamo dunque a Junot Díaz, geniale inventore di parolacce. Uno dei temi di Oscar Wao è la sanguinosa dittatura che oppresse la Repubblica Dominicana per più di trent’anni, e che a un certo punto del romanzo viene descritta così:

if the procurement of ass had been any more central to the Trujillato the regime would have been the world’s first culocracy.

Il suffisso –cracy (in italiano -crazia, dal greco -κρατία, derivato da κράτος, “potere”) serve a formare parole che significano “potere, dominio di”, e perciò qui verrebbe spontaneo tradurre culocracy con “culocrazia”. Ma nel Diccionario de Americanismos il termine “culo”, oltre al significato identico all’italiano che ha in spagnolo castigliano, assume anche i significati di “donna molto bella (volg.)” e “vulva (volg.)”, mentre non ha il significato di “omosessuale maschio (volg. spreg.)” che assume in italiano. Dunque tradurre letteralmente “culocrazia” non funzionerebbe, perché qui “culo” ha lo stesso significato di ass nell’espressione slang americana (volg.) piece of ass = pezzo di fica.
Dunque la frase in italiano diventa:

se il reperimento della fica avesse svolto un ruolo appena un po’ più centrale, quella di Trujillo sarebbe stata la prima ficocrazia del mondo.La breve favolosa vita di Oscar Wao, Mondadori, Milano 2008, p. 221 (ed. or. The Brief Wondrous Life of Oscar Wao, Riverhead, New York 2007).

Rileggendola oggi mi accorgo che sarebbe stato meglio tradurre “ficacrazia” anziché “ficocrazia”, e anche che il termine inventato da Díaz è piuttosto impreciso: il suo significato letterale, “forma di governo in cui il potere è esercitato da donne molto attraenti”, benché descriva un tipo di politica senza dubbio interessante, non ha nulla a che fare con il brutale regime di Trujillo. Ma l’invenzione di Díaz è talmente brillante che nessuno se ne accorge.
L’affissazione, cioè l’aggiunta di prefissi e/o suffissi, è uno dei processi impiegati nella creazione di neologismi: recente e celeberrimo il caso di “petaloso”, ma non dimentichiamo che D’Annunzio inventò “cuoioso”, e Fenoglio “brividoso” e “sudoroso”. Così Díaz, rimanendo nello stesso ambito anatomico che abbiamo visto nell’esempio precedente, a un certo punto fa dire a Yunior, il narratore, che Oscar

had the worst case of no-toto-itis I’d ever seen.

Toto, in spagnolo dominicano, significa di nuovo “vulva (pop.)”. Díaz suddivide il suo neologismo con trattini che mettono convenientemente in evidenza il prefisso no-, che indica negazione, e il suffisso –itis, che fa pensare a una malattia (come l’italiano -ite). Dunque la malattia di Oscar consiste, per dirlo in modo eufemistico, nell’assoluta incapacità di trovarsi una donna. Per dirlo come lo dice Yunior, invece, è bastato tradurre toto con il solito “fica”, e poi italianizzare gli affissi: il no- si trasforma in un alfa privativo di classica memoria, mentre –itis diventa -ia. Se l’afonia è la perdita della voce e l’afasia è l’incapacità di articolare e comprendere le parole, l’aficasia sarà, be’, mi sembra chiaro. Dunque il povero Oscar, nella traduzione italiana,

soffriva del peggior caso di aficasia che avessi mai vistoIvi, p. 179..

Lasciamo lo spanglish di Junot Díaz per tornare a Nathan Englander. Questa volta il termine da tradurre è puro slang americano, anche se ormai si trova in tutti i dizionari. Nel racconto How We Avenged the Blums, Englander scrive:

And because he was suspended by his underwear from one of the bolts on the swing set, we also knew that a wedgie had been administered along the way.

Il ragazzino in questione aveva subito un wedgie, cioè quello scherzaccio in cui qualcuno arriva alle spalle del malcapitato e gli tira su con forza le mutande, in modo da infilargliele dolorosamente fra le natiche. Wikipedia elenca una serie di varianti sul wedgie di base, come il Melvin (detto anche Minerva se praticato su una donna), in cui le mutande vengono tirate su dal davanti (pericoloso), l’Atomic Wedgie, in cui l’elastico delle mutande viene tirato su fin sopra la testa (improbabile), e lo Hanging Wedgie, in cui la vittima viene appesa per le mutande: il caso specifico di cui si parla nel racconto.
Per trovare il traducente adeguato di un termine così evocativo, ho deciso di chiedere aiuto ai frequentatori di social media, che spesso sono più aggiornati di me quando si tratta di slang giovanili e cultura pop. I primi consigli che ho ricevuto mi rimandavano alla versione italiana dei Simpson o di film come American Pie, dove il wedgie diventa “la smutandata”. Il problema era che la parola “smutandata” mi faceva venire in mente più che altro una persona senza mutande, idea confermata da siti sulla lingua gergale che davano “smutandata” come “allegra ragazza dalla mutandina facile e senza pudore”, oppure “sinonimo di spogliarello”, o ancora “sveltina”, e anche da colleghe romane secondo le quali a Roma “smutandare” significa “mettere in mutande”, cioè far fare una figuraccia. Quando si lancia una richiesta di aiuto sui social media bisogna essere pronte a ricevere una quantità di risposte inutili, ma a volte capita di pescare qualche perla. In questo caso la soluzione è nata dallo spassoso dialogo fra due colleghi, Costanza Prinetti e Piero Ambrogio Pozzi, grazie al quale, passando per “infraculo” (sinonimo di tanga) si è arrivati alla parola unica e perfetta: “sparticulo”.
Ecco dunque la traduzione del brano:

E dato che era appeso per le mutande a un bullone dell’altalena, capimmo anche che strada facendo gli era stato somministrato uno sparticulo.N. Englander, Come vendicammo i Blum, in Id., Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, Einaudi, Torino 2012, p. 76 (ed. or. What We Talk About When We Talk About Anne Frank, Knopf, New York 2012).

Published August 4, 2025
Excerpted from Fra le righe, Laterza 2024
© Silvia Pareschi

Plaisir des grossièretés

Written in Italian by Silvia Pareschi


Translated into French by Florence Courriol

[…] Un des cas où le mélange codique peut donner des résultats amusants à la fois pour les lecteurs et lectrices et pour les traducteurs et traductrices est celui du langage grossier. Et là, je dois avouer quelque chose : je suis une grande amatrice de gros mots. J’aime en dire (différentes études défendent d’ailleurs leur rôle bénéfique voire la supériorité intellectuelle de ceux qui les emploient), j’aime étudier leur étymologie, et j’aime surtout les traduire car c’est un bel exercice de créativité linguistique. C’est pour cela que j’essaie toujours, dans mes ateliers de traduction, de donner au moins un texte au langage salé. Car, lorsque l’on débute en traduction, on tend souvent à aborder le texte source avec une crainte et un respect excessifs, ce qui a pour conséquence d’élever, à tort, le registre de l’original : combien d’expressions vieillottes, comme les appelait le philologue Enrico Bianchi, trouve-t-on alors dans les mauvaises traductions, combien de « figure » à la place de « visage », combien de « se rendre » à la place d’« aller » ! S’exercer à traduire les gros mots aide à relâcher les muscles de la langue, à gagner en souplesse et assurance dans le maniement du registre. Les insultes et les jurons ont une fonction expressive importante, et la traductrice doit être capable d’en apprécier la puissance (je ne peux pas par exemple traduire le très amusant holy cow – littéralement sainte vache – par le très fort porca puttana italien), d’en rendre la couleur et la saveur (c’est précisément parce que holy cow est très drôle et malicieusement désuet que je choisirai de le traduire par un perbacco italien (sorte de « sapristi », « parbleu ») ou même peut-être par santa polenta), de les resituer dans le temps de la rédaction du texte sans perdre de vue le temps de la traduction de ce même texte (si la patine un peu démodée de perbacco et de santa polenta devait s’avérer excessive ou du moins décalée, une bonne solution pourrait être d’employer une expression plus intemporelle comme santo cielo).
Revenons-en donc à Junot Díaz, ce génial inventeur de gros mots. L’un des thèmes que développe son Oscar Wao est la dictature sanglante qui a opprimé la République dominicaine pendant plus de trente ans et qui est décrite de la sorte dans le roman :

if the procurement of ass had been any more central to the Trujillato the regime would have been the world’s first culocracy.

Le suffixe -cracy (en italien -crazia, en français -cratie, du grec -κρατία, lui-même dérivé de κράτος, le « pouvoir ») sert à former des mots qui signifient le « pouvoir, l’autorité de » et donc, assez spontanément, on serait amené à traduire en italien le terme culocray par culocrazia. Mais dans le Diccionario de Americanismos, le terme culo, outre son sens identique à l’italien qu’il a en castillan, prend aussi celui de « femme très belle (vulg.) » et de « vulve (vulg.) » mais n’a pas cependant le sens d’« homme homosexuel (vulg. péj.) » qu’il peut avoir en italien. Traduire donc à la lettre par le terme culocrazia ne fonctionnerait pas, parce que culo a ici le même sens qu’ass dans l’expression en slang américain (vulg.) piece of ass = pezzo di ficaNote de Florence Courriol : pezzo di fica est une expression idiomatique qui convoque l’organe génital féminin dans son acception familière (fica) et qui a le sens de « bombe sexuelle », « nana canon ». (= une bombe sexuelle).
La phrase en italien devient donc :

se il reperimento della fica avesse svolto un ruolo appena un po’ più centrale, quella di Trujillo sarebbe stata la prima ficocrazia del mondo.La breve favolosa vita di Oscar Wao, Mondadori, Milano 2008, p. 221 (ed. or. The Brief Wondrous Life of Oscar Wao, Riverhead, New York 2007).

En la relisant aujourd’hui, je me rends compte qu’il aurait mieux valu traduire par ficacrazia plutôt que ficocrazia mais aussi que le terme inventé par Junot Díaz est relativement imprécis : son sens littéral, à savoir « forme de gouvernement où le pouvoir est exercé par des femmes très attirantes », bien qu’il décrive un genre de politique assurément intéressant, n’a rien à voir avec le régime brutal de Trujillo. Mais l’invention de Díaz est tellement brillante que personne ne s’en aperçoit.
L’affixation, c’est-à-dire l’ajout de préfixes et / ou de suffixes, est l’un des procédés employés lors de la création de néologismes : un cas dont on a beaucoup entendu parler récemment est celui de petaloso (« pétaleux ») mais n’oublions pas non plus que D’Annunzio avait inventé cuoioso (« cuireux ») et Fenoglio brividoso (« frissonneux ») et sudoroso (« transpireux »). Restant dans le même domaine anatomique vu dans l’exemple précédent, Díaz fait dire à Yunior, son narrateur, qu’Oscar

had the worst case of no-toto-itis I’d ever seen.

Toto, en espagnol dominicain, signifie à nouveau « vulve (pop.) ». Díaz décompose son néologisme à l’aide de traits d’union qui mettent bien en évidence le préfixe no- indiquant la négation, et le suffixe -itis qui fait penser à une maladie (comme pour l’italien et le français -ite). La maladie d’Oscar consiste donc, pour le dire d’une manière euphémique, en son incapacité absolue à se trouver une femme. Et pour le dire en revanche comme Yunior, il a suffi de traduire toto par l’habituel fica puis d’italianiser les affixes : le no- se transpose ainsi en un alpha privatif traditionnel, tandis que le suffixe -itis devient -ia. Si l’aphonie indique une perte de la voix et l’aphasie l’incapacité à articuler et à comprendre les mots, l’aficasia, eh bien, me semble facile à déchiffrer. Le pauvre Oscar, donc, dans la traduction italienne de l’ouvrage,

soffriva del peggior caso di aficasia che avessi mai vistoIvi, p. 179..

Laissons le spanglish de Junot Díaz pour revenir à Nathan Englander. Cette fois, le terme à traduire est du pur slang américain même s’il figure désormais dans tous les dictionnaires. Dans sa nouvelle How We Avenged the Blums, il écrit :

And because he was suspended by his underwear from one of the bolts on the swing set, we also knew that a wedgie had been administered along the way.

Le garçon en question a été victime d’un wedgie, cette mauvaise blague où quelqu’un arrive dans le dos du malchanceux et lui remonte violemment son caleçon de façon à le lui glisser cruellement entre les fesses. Wikipédia dresse la liste d’un certain nombre de variantes sur le wedgie de base, comme par exemple le Melvin (appelé aussi Minerva s’il est pratiqué sur une femme) où l’individu remonte le sous-vêtement par-devant (acte dangereux), l’Atomic Wedgie où, là, il en remonte l’élastique jusqu’à la tête (chose assez invraisemblable) et le Hanging Wedgie où la victime est suspendue par ses sous-vêtements. C’est ce dernier qui est évoqué dans la nouvelle.  
Pour trouver le translatant adéquat d’un terme aussi évocateur, j’ai décidé de demander de l’aide aux habitués des réseaux sociaux qui sont souvent plus à la page que moi quand il est question de langage des jeunes et de culture populaire. Les premiers conseils que j’ai reçus me renvoyaient à la version italienne des Simpson ou de films comme American Pie où le wedgie est nommé la smutandata (littéralement « la déculottée »). Le problème est que le mot smutandata m’évoquait davantage une personne sans sous-vêtement, chose qui m’était confirmée par des sites d’argot qui définissaient smutandata comme une « jeune fille joyeuse à la culotte facile et sans pudeur » ou bien comme un « synonyme de strip-tease » ou encore un « petit coup rapide » et des collègues romaines m’ont même dit qu’à Rome, le verbe smutandare signifie « mettre en sous-vêtements » qui dans un sens figuré veut dire ridiculiser, humilier quelqu’un. Lorsqu’on lance une demande d’aide sur les réseaux sociaux, il faut se préparer à recevoir quantité de réponses inutiles mais, parfois, il arrive que l’on dégote la perle rare. Dans mon cas, pour ce texte, la solution m’est venue d’un dialogue vraiment plaisant avec deux collègues, Costanza Prinetti et Piero Ambrogio Pozzi grâce auquel on a pu arriver, en passant par le terme infraculo (synonyme de tanga) au mot unique et parfait de sparticulo.
Pour l’extrait analysé, voici donc ce que ça donne dans ma traduction italienne :

E dato che era appeso per le mutande a un bullone dell’altalena, capimmo anche che strada facendo gli era stato somministrato uno sparticulo.N. Englander, Come vendicammo i Blum, in Id., Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, Einaudi, Torino 2012, p. 76 (ed. or. What We Talk About When We Talk About Anne Frank, Knopf, New York 2012).

Published August 4, 2025
© Silvia Pareschi
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