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Premio Babel-Laboratorio Formentini 2020
Discorso di accettazione

Discorso di accettazione

Written in Italian by Silvia Manzio

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Per prima cosa vorrei ringraziare il festival Babel e il Laboratorio Formentini per l’editoria per aver istituito questo premio, e la giuria per il tempo e l’attenzione che ha dedicato alla lettura delle nostre traduzioni. Scoprire di essere nella terzina finalista è stata per me una grandissima emozione. E vedere la mia traduzione al fianco di quelle delle altre due finaliste, che sto leggendo e trovando incantevoli, ha reso la mia gioia ancora più grande.

Essere valutate da una giuria tanto straordinaria è un grandissimo privilegio. Da quando ho cominciato a tradurre per l’editoria ho sempre avuto l’impressione di rincorrere qualcosa, di cercare di afferrare tutte le occasioni che mi capitavano davanti. Ma più che un atto del prendere, la traduzione è un atto del dare. Del restituire. Credo che quello che accomuna tutti noi traduttori, di qualsiasi livello di esperienza, sia un’alta opinione del ruolo della letteratura nel mondo. Oggi, ricevendo questo premio, ho la fugace sensazione di essere riuscita a dare qualcosa, a restituire all’Oreo italiano quello che l’Oreo americano ha dato a me. So che domani, ritrovandomi davanti alle pagine del libro che sto traducendo in questo periodo, quel senso di inadeguatezza tornerà a farsi sentire, a dirmi che il mio orecchio non è abbastanza fine, che le mie capacità espressive non sono sufficienti a restituire tutto quello che quel libro mi sta dando. Ma ricevere questo premio mi incoraggia a continuare a provarci.

È la prima volta che mi esprimo in pubblico a proposito del mio lavoro, e in generale sono più a mio agio con le parole degli altri che con le mie. Ma sono felice di avere la possibilità di parlare di questo romanzo straordinario che è Oreo di Fran Ross. Il mio rapporto con questo libro è molto speciale. Quando l’ho letto per la prima volta ho avuto una specie di rivelazione. Racchiude tutto quello che amo di più nella letteratura: un mondo costruito sulla fantasia, sull’invenzione linguistica, sulla pluralità delle voci. Certo, dentro c’è New York. Ci sono gli anni Settanta. C’è la questione razziale, c’è il femminismo. Ci sono tematiche importanti. Ma quello che ci ho visto io è stata soprattutto l’esplorazione delle potenzialità della lingua, e quindi del pensiero.

Sono stata io a proporlo a SUR. Con il senno di poi mi chiedo se la mia proposta sia stata dettata dell’incoscienza o dell’arroganza. In realtà spero che sia stata dettata soprattutto dall’entusiasmo. Forse è dipesa dal fatto che in quel periodo stavo seguendo i corsi di Fabio Pedone alla Scuola del libro di Roma. Credo che sentirlo parlare della sua traduzione del Finnegans Wake con Enrico Terrinoni mi abbia convinta del fatto che con la giusta dose di passione niente è impossibile.

Certo tradurre questo libro non è stata una passeggiata. Fortunatamente la scrittura di Fran Ross è chiara, sicura, priva delle approssimazioni e dei vezzi gratuiti che si trovano in tanti libri contemporanei e che, almeno per me, sono spesso gli ostacoli più difficili da superare. Le sue frasi sono ben costruite e calibrate. In compenso nel suo romanzo c’è davvero di tutto. Ho passato un’infinità tempo a cercare di decifrare i tantissimi riferimenti culturali disseminati tra le pagine, che vanno dalla cultura alta a quella popolare, dal mito di Teseo agli spot pubblicitari, dall’etimologia ai piatti tipici. Le lingue straniere come l’yiddish, il francese, ma anche i gerghi, i registri, gli accenti, la parlata del sud. E poi ovviamente i giochi linguistici, dai veri e propri giochi di parole alle storpiature e ai neologismi. Ho dovuto mettere in dubbio ogni parola, e non smettere mai di tentare di capire il testo fino in fondo.

La traduzione dei giochi linguistici è un esercizio di ginnastica mentale, di volta in volta più simile al rinforzo muscolare o allo stretching. Ma al di là dello sforzo richiesto dai rompicapi, la difficoltà più grande nel tradurre questo libro è stata proprio quella di nascondere questo sforzo, di restituire l’agilità con cui Fran Ross si muove tra tutti questi elementi. Nel testo originale lo sforzo è completamente assente. Il lettore non lo percepisce. Ma il lavoro che ci vuole per raggiungere la leggerezza è tantissimo. È difficile spiegare come ho cercato di restituirla. Paradossalmente spesso nei giochi di parole l’importante non è la parola in quanto tale, ma il meccanismo di associazione e opposizione che produce un nuovo effetto di senso. Bisogna accettare di perdere per guadagnare e avere il coraggio di allontanarsi per avvicinarsi. La verità è che sono andata per tentativi. La mia prima versione era piena di buchi, molti dei quali sono rimasti anche nella seconda e nella terza. Io odio i buchi. In genere le mie prime stesure sono bruttissime, praticamente illeggibili, ma senza buchi. Ho bisogno di parole, di materiale su cui lavorare, per andare avanti. Ma nel caso di Oreo spesso ci è voluto più tempo. I tasselli si sono incastrati piano piano, a furia di ricerche, di intuizioni, di prove e di fallimenti. Spesso le soluzioni sono arrivate come un’illuminazione nei momenti più inaspettati, altre volte c’è voluto dell’olio di gomito e tante ore passate su un’unica frase, un’unica parola, un’unica sonorità. Credo di aver attinto a tutti gli strumenti che conosco: dizionari di ogni tipo, rimari, strumenti per anagrammi, e tanti tanti libri. Durante i mesi che ho passato su questa traduzione ho cercato di leggere un po’ tutte le sere, e ogni tanto a darmi lo spunto sono stati proprio i libri degli altri – scritti o tradotti in italiano.

Spesso si dice che quello del traduttore è un lavoro solitario, e non sarò certo io a negarlo: i mesi passati a tu per tu con il testo lo sono davvero. Un libro però è il risultato di un lavoro collettivo. Vorrei quindi spendere qualche parola per ringraziare tutta SUR per aver scommesso su una traduttrice come me, che aveva e ha ancora molto da dimostrare, e per aver permesso a Oreo di raggiungere tanti lettori in un periodo così difficile. Ma soprattutto vorrei ringraziare Dario Matrone per la minuzia, l’intelligenza e l’umorismo con cui mi ha rivista. Non avrei potuto sognare un editor migliore.

Vorrei concludere approfittando di quest’occasione per dei ringraziamenti un po’ più personali. Grazie ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuta; grazie al mio compagno che anche a ridosso delle consegne mi ricorda che c’è un mondo al di fuori della traduzione, grazie agli amici, e soprattutto a Silvia, che aspetta solo il libro giusto per ritrovarsi al mio posto tra qualche anno; e grazie a Maurizia Balmelli per avermi insegnato tanto e per essere stata la prima persona a credere in me.

Published November 23, 2020
© Silvia Manzio, 2020

Italian

The Babel-Laboratorio Formentini Prize 2020 has been awarded to Silvia Manzio for the translation of Fran Ross’ Oreo (SUR, 2020). Congratulations to Silvia and her fellow finalists: Cristina Dozio for Ogni volta che prendo il volo by Youssef Fadel (Brioschi, 2019), and Giulia Zavagna for La parte inventata by Rodrigo Fresán (LiberAria, 2019).
The Babel-Laboratorio Formentini Prize, awarded every two years to a young literary translator into Italian worthy of attention, has a budget of 3,000 euros + a residence at the Translation House Looren.
The call for the next edition (2022) will be announced on the Babel Festival website and social media.
Go to the Prize webpage >>


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