D14
It Is My Way of Going Around These Days
Preface

Preface

Written in English by Specimen

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As entire cities and nations throughout the world are under lockdown in response to the Covid-19 pandemic, we are all finding alternative ways to move and meet people. We do it through the use of external devices, as we go online, look at photographs, watch movies, read books and articles, chat with friends and family who appear to us on our smartphones’ screen—something which, only a couple of decades ago, was the exclusive province of Star Trek.

But we also do it all by ourselves, whether we like it or not, with our minds, and in our minds. We unceasingly do it in thought, and we do it every time we fall asleep, even when, once awake, we bear no recollection of the dream. And we do it, though under very rare circumstances, in visions and ecstatic experiences.

The common trait to all these unconscious, or semi-conscious, events is that we always are, so to speak, on the receiving hand of the matter. We can choose what to think about, but our thoughts constantly wander, and, for good or ill, all sorts of things keep creeping into our minds, leading us elsewhere. Although dreams and visions can be induced, mainly through drug intake, we can never determine their content. They simply happen to us.

Dreams that form a logically, morally, or aesthetically satisfying whole are exceptional. They usually come in seemingly unrelated bits of plot, which for the most part are so incoherent and unintelligible that we cannot make heads or tails of them, nor we care much about trying to. However, as chaotic and highly illogical as they may be, the events we experience in dreams can sometimes be so compelling and mysteriously loaded with the promise of meaning that, once awake, we struggle to recover every minute details, as if in them, if put under proper scrutiny, we could find the key to unlock some vital matter pertaining to our waking lives.

We all know it is no easy task. Dreams are elusive. The very moment we begin our ascent from sleep back into consciousness, they start to dissolve. And even when we succeed in securing them to our memory, they can prove extremely difficult to interpret and to relate. Their content can somehow be told, but the aura that made them hauntingly vivid and relevant to us in the first place is easily lost. We fare even worse with visions, whose clarity and power are so overwhelming for those who receive them that they usually completely put to shame every effort to convey them in their fullness. But something lingers on.

Literature, which is the art of saying well what is difficult to say, is of course rich in such visitations and encounters, as well as in speculations about them. Throughout the centuries, writers took up the challenge, not least because any kind of literary enterprise—even when it deals with actual events—is, per se, the product of a vision, however minor it may be.

For this special issue of Specimen we have assembled—and are still assembling—some texts that deal with the broad dimension of dreams and visions, as well as with various sorts of disembodied travels and encounters.

Some of them are, or pretend to be, straightforward accounts of dreams, from Edward Thomas’ A Dream, and Franz Kafka’s prose piece of the same title, down to one of the most notorious cases of dream-transcription, Samuel Taylor Coleridge’s Kubla Khan, which we are publishing alongside the author’s preface, where we are told the curious tale of how the poem ended up being “a fragment” and not a complete account of his opium-induced dream. Coleridge’s story is then taken up and expanded by Jorge Luis Borges, who, almost two of centuries later, managed to give it a surprising metaphysical twist.

Other texts describe places and situations that pretend to be real but bear an eerie resemblance to dreams, like Dino Buzzati’s first excerpt from The Tartar Steppe, or are drenched in a sort of suspended, otherworldly light, like Derek Walcott’s The Season of Phantasmal Peace, whose central image of birds “lifting the huge net of the shadows of this earth”, he once told us, were inspired by an actual dream. The incipit of Auden’s Prime, from his cycle Horae Canonicae, deals with the delicate, liminal moment of passage from sleep to the waking state, while in Had I Not Been Awake Seamus Heaney’s house is visited by a gust of wind that the poem, with its electrified concentration, makes us feel it is something more than a mere atmospheric phenomenon. 

In addition to gathering and selecting texts from the recent and distant past, we started to ask for pieces by contemporary writers, either written in response to the present situation or at previous times: as for now, Glyn Maxwell’s excerpt about Coleridge from his book Drinks With Dead Poets, Vanni Bianconi’s As I Didn’t Walk Out One Evening, Michael Fehr’s account of two of his dreams, Elena Botchorichvili’s contribution from My Father’s Head, Stephanos Papadopoulos’ Dreams, Luigi Serafini’s chapter Dormo poco e male from Ora pro bonobis. Amen, and Matteo Campagnoli’s La notte si avvicina.

More prose and poetry will be added in the coming days, and nights.

Published April 8, 2020
© Specimen 2020

Prefazione

Written in English by Specimen


Translated into Italian by Specimen

Con le misure restrittive attualmente imposte a intere città e nazioni in risposta alla pandemia di Covid-19, siamo tutti costretti a trovare modi alternativi di spostarci e di incontrare gli altri. Lo facciamo andando su internet, guardando film e fotografie, leggendo libri e articoli, parlando con amici e famigliari che dal loro confino appaiono sugli schermi dei nostri smartphone – cosa che solo un paio di decenni fa era un’esclusiva di Star Trek.

Lo facciamo anche senza aiuti esterni, che ci piaccia o meno, con e nelle nostre menti. Lo facciamo in continuazione nei nostri pensieri, e lo facciamo ogni volta che ci addormentiamo, anche quando al risveglio non ci ricordiamo nemmeno di aver sognato. E lo facciamo, seppure soltanto in circostanze estremamente rare, nelle visioni e nell’estasi.

Ciò che accomuna questi eventi inconsci, o semi-consci, è che nella transazione, per così dire, ci troviamo sempre dalla parte di chi riceve. Possiamo scegliere a cosa pensare, ma in realtà le nostre menti divagano, portandoci altrove, e, nel bene o nel male, accolgono giornalmente un’infinità di cose – luoghi, persone, idee, immagini – del tutto impreviste. Anche se sogni e visioni possono essere indotti, in particolare tramite l’assunzione di droghe, non possiamo mai deciderne il contenuto. Semplicemente, accadono.

I sogni che formano un’unità soddisfacente sotto il profilo logico, morale, o estetico sono un’eccezione. Di solito ci arrivano in frammenti del tutto scollegati e per la maggior parte così incoerenti e assurdi da non farci nemmeno venire la voglia di provare a ricostruirne la trama. A volte però le immagini che vediamo e le cose che ci accadono in sogno sono talmente coinvolgenti e cariche della misteriosa promessa di un significato che, da svegli, facciamo di tutto per recuperarne ogni minimo dettaglio, quasi che, analizzandole a fondo, vi potessimo trovare la chiave di questioni fondamentali per la nostra esistenza.

Sappiamo tutti quanto sia difficile farlo. I sogni sono elusivi: nel momento stesso in cui iniziamo la nostra ascesa dal sonno verso lo stato di veglia, cominciano a dissolversi. E anche quando riusciamo a ricordarceli, fatichiamo non solo a scovarne il senso ma anche semplicemente a raccontarli. Possiamo più o meno dire cos’abbiamo sognato, tuttavia quell’aura che aveva reso il sogno così misteriosamente vivido e rilevante ai nostri occhi chiusi si dissolve rapidamente non appena li apriamo. Questo è ancora più vero per le visioni, la cui chiarezza e potenza sono tali per chi le riceve da vanificare spesso ogni tentativo di trasmetterle nella loro pienezza. Ma qualcosa rimane.

Non sorprende quindi che la letteratura, che è l’arte di dire bene ciò che è difficile dire, abbondi di questo genere di visitazioni e di incontri, nonché di riflessioni su di esse. Fosse anche solo per il fatto che qualsiasi impresa letteraria, persino quando tratta di accadimenti reali, è di per sé frutto di una visione, per quanto minima.

Per questo numero speciale di Specimen abbiamo raccolto – e stiamo tuttora raccogliendo – una serie di testi che trattano le varie dimensioni del sogno e della visione, così come altre modalità di viaggi e di incontri immateriali.

Alcuni di questi sono, o si spacciano, per resoconti di sogni reali, a partire da Un sogno di Edward Thomas e la prosa di Kafka dallo stesso titolo fino a quello che è forse il più famoso esempio di dettatura onirica, il Kubla Khan di Samuel Taylor Coleridge, affiancato dalla prefazione dell’autore, nella quale il poeta ci racconta come mai la sua poesia sia solo “un frammento” e non la trascrizione completa di quel suo sogno stimolato dall’oppio. La storia di Coleridge è poi ripresa e ampliata da Jorge Luis Borges, che a quasi due secoli di distanza le impartisce un sorprendente risvolto metafisico.

Altri testi descrivono posti e situazioni che fingono di essere reali ma che sono marcati da una sinistra somiglianza con i sogni, come il primo estratto dal Deserto dei Tartari di Dino Buzzati; o si librano in una sorta di luce rarefatta, come La stagione della pace spettrale di Derek Walcott, la cui immagine centrale degli uccelli che “sollevano l’enorme rete delle ombre di questa terra”, ci ha raccontato lui, viene da un sogno. L’incipit di Prima, dal ciclo Horae Canonicae di W.H. Auden, evoca quel momento delicato e liminale che è il passaggio dal sonno alla veglia, mentre in Non fossi stato sveglio la casa di Seamus Heaney è visitata da una folata di vento che, grazie alla concentrazione elettrizzata dei versi, percepiamo come un qualcosa di più di un semplice fenomeno atmosferico.

Oltre a selezionare testi del passato recente o distante, abbiamo anche cominciato a raccogliere e a chiedere dei contribuiti a scrittori contemporanei, scritti in risposta alla situazione attuale o in precedenza: per ora, un estratto su Coleridge dal libro Drinks With Dead Poets di Glyn Maxwell, le poesie Un sogno di Vanni Bianconi e Sogni di Stephanos Papadopoulos, il racconto di due sogni di Michael Fehr, un estratto da La testa di mio padre di Elena Botchorishvili, Dormo poco e male da Ora pro bonobis. Amen di Luigi Serafini e La notte si avvicina di Matteo Campagnoli.

Altri testi in prosa e altre poesie verranno aggiunti nei prossimi giorni, e nelle prossime notti.

Published April 8, 2020
© Specimen 2020


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