D11
Oca Babel at Flip 2019
5 poesie

5 poesie

Written in Italian by Vanni Bianconi

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Il cardellino

Dalla grande finestra della tua sala
osserviamo gli uccelli nella loro casetta
che ha a sua volta una grande finestra
in miniatura, l’ampio tetto spiovente e un terrazzo
dove è tutto l’inverno che semini
qualcosa di simile all’amicizia.
Li osserviamo all’ora di pranzo
degli uccelli, più o meno le undici per noi,
quando si ammassano tutti tra frullii di ali
sprazzi di colore becchi impettiti occhietti.
Hai decifrato le abitudini delle varie specie
come avevi fatto con quelle dei vicini
ma adesso con molto più affetto,
e lo stesso vale per il loro aspetto,
non le chiome a chiazze gialle delle carampane
munite di cane o le bruciature cutanee
provocate dall’astro della stupidità
che orbita sempre più vicino,
no no, la cincia con la mascherina,
il brusio arancio del pettirosso,
il fringuello che ha paura di tutti,
e il più temuto anche se gracile e tra i più belli
giallo vivace sul fianco e rosso acceso sul capo
ma col becco terribile, becco che non si scherza,
il cardellino.
Siamo in primavera ma alla loro ora di pranzo
gli uccelli sono ancora fedeli alla tua mensa,
cosa ne sarà d’estate non si sa, come d’altronde
non si sa, non tardi a aggiungere,
cosa ne sarà di te
(svelto a negare che con tutta probabilità
sarai di mattina sui sentieri delle tue creste preferite
e di pomeriggio proprio qui in giardino
con radio libro occhiali e giornale).
Ma prima che imbocchiamo il sentiero circolare
di rinuncia futilità caducità e fine
ti ricordi che hai una cosa da farmi vedere
e con una cordicella da un sacchetto uscito dal freezer
fai penzolare uno splendido esemplare
di cardellino maschio congelato, vedi
il giallo sul fianco e il capo rosso acceso
senti com’è leggero, morbidissimo, ma quel becco,
becco terribile il cardellino…

Mentre scrivo di te qui fuori sferraglia,
magari manda qualche scintilla,
la tosaerba manuale (la tua Ford Gran Torino).

*

33

Dormiamo stretti io e te
come le due cifre della mia nuova età –
e se uno nel sonno si gira
anche l’altro subito si incunea –
i due tre;
da una settimana hai trent’anni
e un tre anche tu, l’altro non è un numero
ma il tondo della tua pancia
(e tuttavia il tondo dello stupore)
per chi la abita da tre mesi,
siamo tre
tre.

*

Cosmogonia

«I know», dici a Loren anche se non sai che cosa sia
a farla piangere (un pianto diverso da quello che alle sei
ci sballa il giorno, o di noia, stizza, fame), «I know».
Così i cosmologi postulano dark matter, energy e flow.

Tanti sforzi per capire si consumano come un alka-seltzer
posato sul bagnato del ripiano di cucina, li incalza
la traccia di un’ombra e se si manifesta nella lingua,
nelle sue misure di respiro e di materia, si ha una tregua.

Ma le cose oscure, la vita invisibile sul farsi,
di tanto in tanto le stanavano i tuoi occhi i mesi scorsi
nel punto d’aria che a ogni battito di ciglia è rime
alterne tra le tue pupille nere e luce e rimmel.

Urti in uno spigolo e Loren, che non parla, ti dice: «ainóu» –
e se versi una lacrima è lenta, zuccherina, un po’
come i tuoi bui baci da seta o il chiaro del fiore di trifoglio,
degli sgoccioli di latte tra di voi e di questo primo foglio.

*

Anfisbena

La ragazza dalla schiena lunga, lungo il collo e tutto
e un padre di passaggio tornato nel deserto,
curve da negra affusolate da anni di eroina,
lei che ha usato tutto il mio dolore
è l’ultima donna che ho amato in italiano.
Quasi vent’anni senza rima cuore amore.
Poi corazòn tienes razòn, ora siamo a heart
I’m doing my part. Am I? Sono a Trinidad da solo.
In Europa è inverno in ogni lingua,
qui e nel cuore la stagione è asciutta
ma le precipitazioni tropicali, lo sono
sempre state e il primo giorno ha resuscitato
tutte quelle di una vita, la mia,
così furiose e rimosse che mi chiedo se lo sia.
La risposta strisciava oggi nel patio, ha infilato
una delle sue due teste dentro il muro, e via.

*

Nota a piè di immagine

La palpebra dell’onda si chiude,
lente si allungano come le schiume
le tue ciglia – ritrose, malmostose,
o come all’inizio delle nostre cose. [1]

____________________
[1] Perché ti penso sempre con gli occhi chiusi?
Siamo a un oceano di distanza e i fusi
sono sfasati, da te fa notte prima,
ma è sempre stato così e se ero la tua rima

poi col tempo una nota a piè di pagina,
e di quelle che spiega cosa il personaggio immagina,
da lontano la vera differenza
è mancare l’appuntamento senza dividere la stanza.

I tuoi occhi, aperti, sono un obiettivo
che non trova l’istante per la foto, o la riva
se il mare si ritira, iridi lucide
per un po’, ancora per poco, adesso asciutte.

No. Ecco l’esempio di nota al piede.
Né vale dire che tuo è l’occhio che vede.
Solo il mare non si satura di restituire immagini
che siano d’amore cielo vele indagini:

noi diventiamo opachi, e fissi, e mi giuro
di cercarti di giorno come fossimo al buio –
pure un po’ curvo, la testa che imbianca,
i passi incerti ma acquatica l’anca

se sente che hai spostato l’aria, e il plesso
si avvolge per perdere se stesso,
come le onde, sì, queste onde, ma di notte,
se riprendono il largo dopo rotte.

Published July 10, 2019
Excerpted from Il passo dell’uomo (Casagrande, Bellinzona 2012), and Sono due le parole che rimano in ore (Casagrande, Bellinzona 2017)
© Edizioni Casagrande 2012, 2017

5 Poems

Written in Italian by Vanni Bianconi


Translated into English by Vanni Bianconi

The goldfinch

From your living-room French window
we observe the birds in their little home
that in its turn has got a miniature
French window, the wide steep roof and a terrace
where all winter long you’ve been sowing
something similar to friendship.
We’re observing them at lunchtime
in bird time, elevenses for us,
when all of them amass with wings aflutter
splashes flashes stiff beaks eyelets.
You’ve deciphered the habits of each species
as you did with your own neighbours’
yet with so much more affection,
and the same goes for their appearances,
not the yellowed hairdos of dog-equipped
ageing weirdoes nor the skin burns
caused by the ever-approaching orbit
of the star of our stupidity,
no no, the tit with her little mask,
the robin’s orange buzz,
the chaffinch afraid of everything,
and the most feared even if so frail
and a beauty to the eye, vivid yellow on the side,
his head bright red, but what a beak
a beak not to mess with,
the goldfinch.
It’s late spring but at their lunchtime
these birds are faithful to your canteen,
who knows what will become of it
when summer comes, and by the way who knows,
you’re quick to add, what will become of you
(quick to deny that you’ll most likely
trot every morning towards a favourite peak
and sit each afternoon right here
surrounded by the radio books glasses and the paper).
But just before we spiral down the usual way
leading to detachment, futility and the end
you remember there’s something I must see
and pulling a rope from a bag stored inside the freezer
you dangle an outstanding specimen
of male frozen goldfinch, see:
the yellow side and the bright red
feel how light it is and how soft, but that beak,
a terrible beak the goldfinch…

While I’m writing about you out here clatters,
perhaps throwing a few sparks on the lawn,
your manual mower (your Ford Gran Torino).

*

33

We sleep together tight, you and me,
like the two figures of my new age –
and if one sleepily is turning
the other immediately fits in –
the two threes;
it’s one week now that you’ve turned thirty
and got yourself a three, not followed by a number
but by the roundness of your womb
(and still, the roundness of our stupor)
where someone has been living for three months,
we are three
three.

*

Cosmogony

“I know,” you tell Loren, even if you can’t really tell
what is making her cry (it’s not like when at 6 a.m.
she unwraps our day, or cries for poo, hunger or rage), “I know.”
This way cosmologists postulate dark matter, energy and flow.

So much effort to understand ends up like an alka-seltzer
sizzling on the kitchen wet worktop, our mind is a poor sensor
for the shadows – that yet from time to time are issued
from measures of our language, so we get a little truce.

But the obscure things, life invisible in the making,
were sometimes roused by your eyes in this past year
in that point of air that with every blink’s a rima rara
involving light, a black pupil and mascara.

You knock against a corner and Loren, who can’t talk, says: “ainou” –
and if you shed a tear it will be sweet, be clear and slow,
like your silkwarmth or the white flower of the clover,
the last milk between you two and my page now that this is over.

*

Amphisbaena

The girl with the long back, long neck and all,
a father passing through, returning to his desert,
African curves thinned out by years of heroin,
she who’d used up all of my grief
is the last woman I loved in Italian.
Almost twenty years without rhyming cuore-amore.
Then corazòn-tienes razòn, now we’re at heart-I’m
doing my part. Am I? I’m alone in Trinidad.
In Europe it’s winter in every language,
here and in the heart the season’s dry
yet the rainfall tropical, it’s always been
and the first day here has resurrected
all those of a lifetime, mine,
so raging and remote I wonder if it’s so.
The answer today slithered across the patio, slipped
one of its two heads into the wall, and off we go.

*

Footnote

The wave’s eyelid shuts, slow
your lashes lengthen like foam –
reluctant, bashful, or
like at the beginning of it all. [1]

___________________
[1]  Why do I always see you your eyes closed?
We’re an ocean away and the time zones
are out of tune, night falls earlier for you,
but then it’s always been so and if I was your

rhyme, then gradually a footnote, and one of those
explaining how the character influences the prose,
from far away the only true difference
is a misunderstanding in a non consequent tense.

Your eyes, open, are a photographic lens
that doesn’t find the instant for the shot, or else,
if the tide is on the ebb, they’re a shore,
irises lucid for a moment, for now, not anymore.

No. There’s an example of the footnote. Nor is
it mine to say that yours is the eye that sees.
Only the sea will never cease to return images
be it of love seagull sea-change or dinghies:

we can’t but turn opaque, and fixed, and I swear
to look for you in full daylight as if we were
in the dark – a little hunched, perhaps going white,
faltering steps but water-like thighs

if they feel you’ve touched the near air,
and the plexus coiling up to lose itself. There:
like breakers, yes, these waves but only if they shove
off after having crested and after having broke.

Published July 10, 2019
© Vanni Bianconi

2 poèmes

Written in Italian by Vanni Bianconi


Translated into French by Christian Viredaz

Le chardonneret

De la grande fenêtre de ton salon
nous observons les oiseaux dans leur petite maison
qui elle aussi a sa grande fenêtre
en miniature, le large toit en pente et une terrasse
où durant tout l’hiver tu as semé
quelque chose de semblable à l’amitié.
Nous les observons à l’heure du repas
des oiseaux, plus ou moins onze heures pour nous,
quand ils se massent tous entre frémissements d’ailes,
éclairs de couleur becs sévères yeux vifs.
Tu as déchiffré les habitudes des différentes espèces
comme tu l’avais fait pour celles des voisins
mais à présent avec beaucoup plus de tendresse,
et de même pour leur aspect,
non pas les chevelures à taches jaunes des laiderons
munies de chien ou les brûlures cutanées
provoquées par l’astre de la bêtise
qui orbite toujours plus près,
non non, la mésange et son petit masque noir,
le bruissement orange du rouge-gorge,
le pinson qui a peur de tous,
et le plus craint de tous bien que gracile et parmi les plus beaux
jaune vif sur le flanc et rouge éclatant sur la tête
mais au terrible bec, bec qui ne plaisante pas,
le chardonneret.
Nous sommes au printemps mais à l’heure de leur repas
les oiseaux sont encore fidèles à ta table,
qu’en sera-t-il l’été nul ne le sait, comme d’ailleurs
nul ne sait, ne tardes-tu pas à ajouter,
ce qu’il en sera de toi
(preste à nier que selon toute probabilité
tu seras le matin sur les sentiers de tes crêtes préférées
et l’après-midi juste ici dans ce jardin
avec livre radio lunettes et journal).
Mais avant de nous engager sur le sentier circulaire
de renoncement futilité caducité et fin
tu te rappelles que tu as une chose à me montrer
et d’une cordelette d’un sachet sorti du freezer
tu fais pendiller un exemplaire splendide
de chardonneret mâle surgelé, regarde
le jaune sur le flanc et la tête rouge vif
sens comme il est léger, tellement doux, mais ce bec,
ce bec terrible le chardonneret…

Tandis que sur toi j’écris là dehors elle ferraille
et jette peut-être des étincelles
la tondeuse à gazon manuelle (ta Ford Gran Torino).

*

33

Nous dormons serrés l’un contre l’autre
tels les deux chiffres de mon nouvel âge –
et si dans son sommeil l’un se retourne
tout de suite l’autre s’y insinue –
les deux trois;
depuis une semaine t’as trente ans
et un trois toi aussi, l’autre n’est pas un nombre
mais le rond de ton ventre
(et le rond de l’émerveillement)
pour qui depuis trois mois l’habite,
nous sommes trois
trois.

Published July 10, 2019

5 poemas

Written in Italian by Vanni Bianconi


Translated into Portuguese by Francesca Cricelli

O pintassilgo

Da grande janela da tua sala
observamos os pássaros em sua casinha
que também tem uma grande janela
em miniatura, o amplo telhado inclinado e um terraço
no qual semeias, desde o inverno,
algo semelhante à amizade.
Observamos-os na hora do almoço
dos pássaros, mais ou menos às onze horas para nós,
quando se juntam todos entre os chiados das asas
lampejo de cores bicos olhinhos empedernidos.
Decifrastes os hábitos de tantas espécies
como fizestes com as dos vizinhos
mas agora com muito mais afeto,
e o mesmo vale pelo seu aspecto,
não as jubas com manchas amarelas das peruas
equipadas com cães ou queimaduras cutâneas
provocadas pelo astro da estupidez
que orbita sempre mais perto,
não não, o bem-te-vi com sua pequena máscara,
o burburinho alaranjado do pintarroxo,
o pardal-de-asa-branca que teme a todos,
e o mais temido ainda que gracioso e entre os mais belos
amarelo vívido na lateral e vermelho aceso na cabeça
mas com o bico terrível, bico que não brinca,
o pintassilgo.
Estamos na primavera mas na sua hora do almoço
os pássaros permanecem fiéis à tua cantina,
o que acontecerá no verão, sabe-se lá, como por outro lado
sabe-se lá, não demores a dizer,
o que será de ti
(rápido a negar que com toda a probabilidade
estarás pela manhã nos caminhos das tuas cristas preferidas
e à tarde aqui mesmo no jardim
com rádio livro óculos e jornal).
Mas antes de tomar o caminho circular
de renúncia futilidade caducidade e fim
te lembras que me deves mostrar algo
e com uma cordinha saída de um saquinho do congelador
penduras um belo exemplar
de macho de pintassilgo congelado, vês
o amarelo na lateral e a cabeça vermelho acesa
sentes como é leve, macio, aquele bico,
bico terrível do pintassilgo…

Enquanto escrevo sobre ti aqui, lá fora um estardalhaço,
talvez solte alguma faísca,
É o cortador de grama manual (a tua Ford Gran Torino).

*

33

Dormimos tu e eu agarrados
como duas cifras da minha nova idade –
e se alguém no sono se vira
também o outro de imediato se encrava –
os dois três;
há uma semana tens trinta anos
e um três tu também, o outro não é um número
mas a curva da tua barriga
(e a curva do espanto, entretanto)
por quem a habita há três meses,
somos três
três.

*

Cosmogonia

“I know”, dizes a Loren mesmo sem saber o que é
que a faz chorar (um choro diferente daquele que às seis
desbaratina o dia, ou de tédio, raiva, fome), “I know”.
Assim os cosmologistas postulam dark matter, energy e flow.

Tantos esforços para entender consomem feito aspirina
pousada sobre a pia molhada da cozinha, são acossados
pelo rastro de uma sombra e se isso se manifesta na língua,
em suas medidas de respiração e matéria, tem-se uma trégua.

Mas as coisas obscuras, vida invisível que se faz,
teus olhos viam, de quando em quando, meses atrás
aí no ponto de ar em que cada batida de cílios é uma rima
alternada entre tuas pupilas negras e luz e rímel.

Tropeças num canto e Loren, que não fala, te diz: “ainôu” –
e se derramas uma lágrima é lenta, açucarada, um pouco
como teus beijos escuros de seda ou a clara flor do trevo,
as ultimas gotículas de leite entre vocês e desta minha folha.

*

Anfisbênia

A garota com as costas longas, o longo pescoço e tudo
e um pai de passagem de volta ao deserto,
curvas acentuadas ora esguias por anos de heroína,
ela quem usou toda minha dor
foi a última mulher que amei em italiano.
Quase vinte anos sem rimar cuore e amore.
Depois corazón tienes razón, agora estamos em heart-
I’m doing my part. Am I? Estou em Trindade sozinho.
Na Europa é inverno em todas as línguas,
aqui e no coração a estação é seca
mas as precipitações são tropicais, sempre foram
e o primeiro dia ressuscitou
todas aquelas de uma vida, mas
tão recalcadas e furiosas que me pergunto se são minhas.
A resposta rastejava hoje no pátio, enfiou
uma de suas cabeças no muro, e foi.

*

Nota de rodapé

A pálpebra da onda se fecha,
lentas prolongam-se como espumas
teus cílios – relutantes, carrancudos
ou como no início das nossas coisas. [1]

_____________________
[1] Por que te penso sempre de olhos fechados?
Estamos a um oceano de distância e os fusos
defasados, onde estás anoitece mais cedo,
mas sempre foi assim e se eu era tua rima

depois com tempo uma nota de rodapé,
e daquelas que explica o que a personagem imagina,
de longe a verdadeira diferença
é faltar ao encontro sem dividir o quarto.

Teus olhos, abertos, são um objetivo
que não encontra o instante para a foto, ou a costa
se o mar se subtrai, íris molhadas
por pouco, mais um pouco, agora secas.

Não. Eis o exemplo de nota de rodapé.
Nem vale a pena dizer que teu é o olho que vê.
Só o mar não se satura de devolver imagens
que sejam de amor céu velas miragens:

nos tornamos opacos, e fixos, e juro a mim mesmo
procurar-te de dia como se estivéssemos no escuro –
até recurvo, a cabeça que embranquece,
os passos incertos mas o quadril aquático

se sente que moveste o ar, e o plexo
se enrola para perder a si mesmo,
como ondas, sim, estas ondas de ressaca
se retomam o mar aberto após a quebra.

Published July 10, 2019
© Francesca Cricelli

2 wiersze

Written in Italian by Vanni Bianconi


Translated into Polish by Joanna Wajs

Szczygieł


Przez wysokie okno twojego salonu
przyglądamy się ptakom w karmniku.
On zresztą tak samo ma wysokie okno,
tylko że w miniaturze, szeroki spadzisty dach i taras,
na którym przez całą zimę zostawiasz
coś w rodzaju przyjaźni.
Obserwujemy ptaki w porze ich obiadu,
a więc dla nas jest mniej więcej jedenasta,
kiedy się zlatują wśród furkotu skrzydeł
i bryzgów barw, harde z oczu i dzioba.
Poznałeś zwyczaje różnych gatunków,
tak samo jak zgłębiłeś nawyki sąsiadów,
choć ptaki budzą w tobie znacznie więcej czułości,
także dlatego, że ludzie są odpychający
– każda z tych ordynarnych bab z żółtą autostradą
na głowie, z nieodłącznym pieskiem i twarzą
przysmażoną przez gwiazdę głupoty
krążącą coraz bliżej.
Ptaki to co innego: sikorka w balowej maseczce,
pomarańczowy harmider rudzika,
zięba, która boi się wszystkich,
i najgroźniejszy, choć mały i tak ujmujący
z jaskrawożółtym lusterkiem i czerwoną plamką na głowie,
lecz ze straszliwym dziobem, dziobem, co nie zna żartów,
szczygieł.
Jest już wiosna, ale gdy zbliża się pora obiadu,
ptaki wciąż zaglądają do twojej stołówki,
co będzie latem, nie wiadomo, „tak samo,
jak nie wiadomo – nie omieszkasz dodać –
co będzie ze mną”.
(I nie chcesz słuchać, że najprawdopodobniej
rano będziesz spacerował po swoich górskich ścieżkach,
a po południu własnie tu, w ogrodzie,
siedział z radiem, okularami, książką i gazetą).
Lecz nim znów włączymy tę zdartą starą płytę
rezygnacji, banału, przemijania i końca,
przypominasz sobie, że miałeś mi coś jeszcze pokazać,
i huśtasz wyjętą z lodówki foliową torebką,
w której leży piękny zamarznięty szczygieł
z jaskrawożółtym lusterkiem i czerwoną plamką na głowie,
taki lekki i miękki, jeśli nie liczyć dzioba,
tak, ten straszliwy dziób szczygła…

Kiedy piszę o tobie, na zewnątrz głośno zgrzyta
i może nawet krzesze kilka iskier spod ostrzy
ręczna kosiarka (twój ford gran torino).

*

Kosmogonia

I know – mówisz do Loren, chociaż wcale nie wiesz,
co ją pobudza do płaczu (innego niż wtedy, gdy o szóstej rano zdziera
papier z naszego dnia albo gdy płacze z nudów, ze złości, z głodu). – I know”.
Tak samo kosmolodzy zakładają istnienie dark matter, energy i flow.

Tyle wysiłków, by zrozumieć, rozpływa się jak alka-seltzer
zostawiony na mokrym kuchennym blacie; ich śladem
podąża smuga cienia, a jeśli objawia się w pisaniu, w mowie,
w metrum oddechu i materii, następuje rozejm.

Lecz to, co niepojęte, życie niewidzialne u swego początku,
twój wzrok niekiedy wypłaszał w minionych miesiącach
w ów punkt w powietrzu, który przy drgnieniu powiek staje się przeplatanym
rymem pomiędzy czernią twych źrenic, światłem i pomalowanymi rzęsami.

Uderzasz się o kant i Loren, która nie umie mówić, mówi ci: „Ainóu”,
a jeśli nawet uronisz jakąś łzę, to słodką i niespieszną,
podobną do twoich ciemnych, miękkich pożałunków, jasną niczym płatki
kwiatu koniczyny, ostatnia kropla mleka między wami i biel tej pierwszej kartki.

 

Published July 10, 2019
© Joanna Wajs

3 poemas

Written in Italian by Vanni Bianconi


Translated into Spanish by Barbara Bertoni and laboratoria Traduxit

El jilguerillo

Desde la gran ventana de tu sala
observamos los pájaros en su casita
que a su vez tiene una gran ventana
en miniatura, el amplio techo inclinado y una terraza
donde a lo largo de todo el invierno has sembrado
algo semejante a la amistad.
Los observamos a la hora de la comida
de los pájaros, más o menos las once para nosotros,
cuando se arremolinan todos entre aleteos
destellos de color picos engallados ojillos
Has descifrado las costumbres de las distintas especies
como lo hiciste con las de los vecinos
pero ahora con mucho más afecto,
y lo mismo vale con su aspecto,
no las melenas con manchas amarillas de las viejas ridículas
provistas de perrito o las quemaduras cutáneas
provocadas por el astro de la estupidez
que orbita cada vez más cerca,
no no, el herrerillo con su antifaz,
el murmullo naranja del petirrojo,
el pinzón que le tiene miedo a todos,
y el más temido aunque grácil y entre los más bellos
amarillo brillante en el costado y rojo encendido en la cabeza
pero con el pico terrible, pico que no es de broma,
el jilguerillo.
Estamos en primavera pero a su hora de comer
los pájaros todavía son fieles a tu mesa,
qué les pasará en verano no se sabe, como tampoco
se sabe, no tardas en añadir,
qué será de ti
(rápido en negar que con toda probabilidad
estarás en la mañana en los senderos de tus crestas preferidas
y en la tarde aquí mismo en el jardín
con radio libro lentes y periódico).
Pero antes de que tomemos el sendero circular
de renuncia futilidad caducidad y fin
te acuerdas de que tienes algo que mostrarme
y con un lacito desde una bolsita salida del refri
columpias un espléndido ejemplar
de jilguerillo macho congelado, mira
el amarillo en el costado y la cabeza rojo encendido
ve qué ligero es, tan suave, pero ese pico,
pico terrible el jilguerillo…

Mientras escribo de ti aquí afuera traquetea,
tal vez emite alguna chispa,
la podadora manual (tu Ford Gran Torino).

*

33

Dormimos abrazados tú y yo
como las dos cifras de mi nueva edad –
y si uno en el sueño se voltea
el otro enseguida se acurruca –
los dos tres;
hace una semana que tienes treinta años
y un tres tú también, el otro no es un número
sino la redondez de tu vientre
(mas aun la redondez del estupor)
por quien la habita desde hace tres meses,
somos tres
tres.

*

Cosmogonía

“I know”, dices a Loren aunque no sepas qué es
lo que la hace llorar (un llanto distinto del que a las seis
nos arruina el día, o de tedio, rabia, hambre), “I know”.
Así los cosmólogos postulan dark matter, energy y flow.

Tantos esfuerzos para entender se consumen como un alka-seltzer
sobre lo mojado de la mesa de cocina, los persigue
la huella de una sombra y si se manifiesta en la lengua,
en sus medidas de respiración y materia, se obtiene esto, una tregua.

Pero a las cosas oscuras, a la vida invisible en el hacerse,
cada tanto las extraen tus ojos los meses transcurridos
en el punto de aire que a cada parpadeo son rimas
alternas entre tus pupilas negras y luz y rímel.

Chocas contra un filo y Loren, que no habla, te dice: “ainóu” ̶
Y si derramas una lágrima es lenta, azucarada, algo
como tus oscuros besos de seda o lo claro del trébol de tres hojas,
las gotas de leche entre ustedes y esta primera hoja.

Published July 10, 2019
© Barbara Bertoni


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Oca Babel – performances of collective and multilingual writing
Oca Babel is the home of translation and linguistic hospitality: it hosts performances in Portuguese, Tupi, Swiss-German, Italian, broken English, Makushi, Quechua, Japanese, Spanish. Writers and translators from Brazilian, Switzerland, Argentina and Mexico have worked in pairs, confronting differences in languages, sharing visions, writings and voices.
Written especially and collectively for Oca Babel, the texts presented at Flip are the result of these meetings. Oca Babel works with writers of indigenous and African backgrounds, and from other migrations or other margins. The margins need to find ways to be heard: hegemonies need to hear them with the same urgency
Oca Babel runs at FLIP from July 11th to July 13th.


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